4.2 Segnale segno e coscienza.
Far derivare la natura da un saggio creatore significa pretendere che i bambini vengano generati con lo sguardo, che la fame si quieti con il profumo delle vivande, che l’armonia dei suoni faccia muovere i monti. Il groenlandese fa nascere lo squalo dall’orina di uomo, perché, al naso dell’uomo, esso puzza di orina; ebbene, questa genesi zoologica ha lo stesso fondamento della genesi cosmologica del teista, che fa generare la natura dall’intelligenza perché essa dà, all’intelligenza umana, l’impressione di un comportamento intelligente e meditato. È ben vero che il manifestarsi della natura è per noi ragione, ma la causa di questo manifestarsi non è la ragione piú di quanto la causa della luce sia la luce. ( Feuerbach, L’essenza della religione, par. 47)

E' possibile ripensare, ridimensionare questo dogma?
La risposta è senza dubbio affermativa.

L'identificazione Essere-Pensiero-Linguaggio scaturisce dalla prospettiva umana del conoscere.
Questo mito ha modo d'esistere perché l'uomo pensa e comunica il suo pensiero attraverso il linguaggio: perché il linguaggio influenza il suo pensiero e perché il pensiero si indentifica con il suo stesso esistere e concepire l'esistente.
L'indagine e la conoscenza di qualcosa (saremo banali) sono sempre indagine e conoscenza da parte di una entità cosciente, se l'entità cosciente è un essere umano la sua indagine e la sua conoscenza non potranno che essere umane e "umanizzati" risulteranno gli oggetti d'indagine.
L'uomo umanizza quindi l'Essere perché, nel concepire qualsiasi esistente, non può trascendere dal suo essere uomo.

L'Essere appare logico, razionale, coerente perché l'uomo, da uomo, lo riduce, lo schematizza, sviluppa dei patterns (come Dennett potrebbe sostenere).
Ma cos'è in sé questa logicità?
Cos'è ciò che noi concepiamo come logico e razionale, cos'è quella armonia intrinseca del mondo della quale Einstein parlava, se non il riflesso della nostra stessa  natura nelle acque dell'Essere?
Il pensiero, il logos, non è quindi l'Essere: esso evoca a noi l'Essere.
Il pensiero è quindi segno del segnale Essere ma è segno perché esiste qualcuno per il quale il segno è tale. (significa, ha un significato)
Parlare di logicità in re, vedendo il problema da questa prospettiva, non ha senso alcuno.

Cos'è inoltre il linguaggio se non segno del pensiero?
Come il pensiero rappresenta, evoca per via indiretta l'Essere, lo riduce, lo schematizza, così il linguaggio rappresenta, per via indiretta, il pensiero, evoca il pensiero.
Il linguaggio è, banalmente, un modo che l'essere umano ha sviluppato per comunicare ed evocare ai suoi simili il proprio pensiero ma  la comunicazione umana non è risolta in tutto e per tutto nell'ambito del linguaggio.

La stessa significazione, creazione di segni, non è un fatto linguistico, è il presupposto adottato dall'uomo per sviluppare i suoi linguaggi; la significazione è il fattore preliminare e fondamentale del linguaggio ma differente dal linguaggio stesso.

Se non può esistere un linguaggio senza significazione non è invece vero il contrario: può esistere la significazione senza linguaggio.
Per alcuni aspetti l'identificazione linguaggio-pensiero passa anche da questo equivoco: si identificano linguaggio e pensiero perché non si distingue tra significazione e linguaggio.
Il pensiero è intimamente connesso alla significazione, ma la significazione, come si è detto non è linguaggio.

Il linguaggio è signiferazione. (Ci concediamo un neologismo)
Non crea un significato (significare) ma porta un significato (evoca) un segno. (Ed è appunto il segno, il significante, che significa un significato)

Il linguaggio (segnale) è veicolo, il significato sono i passeggeri vestiti delle vesti  "significanti". (E appunto quei significati potrebbero essere veicolati da veicoli differenti dal linguaggio come potrebbero essere identificati da diversi segnali)
Pretendere di descrivere la natura dei passeggeri (significato, segno che significa qualcosa) descrivendo la natura del veicolo (linguaggio) sul quale viaggiano è semplicemente assurdo.

Abbiamo accennato di questo aspetto nel secondo paragrafo del terzo capitolo.
Il brufe force computazionale, con il quale attualmente si pretende di risolvere the frame problem, è una impossibilità proprio perché ci si trova a dover ridurre, come si è detto due livelli di infinità.
Uno "stato dell'Essere" (stato di cose, come Wittgenstein potrebbe dire) può essere evocato da infiniti pensieri (concettualizzazioni), ed un pensiero può essere evocato da infinite asserzioni ed in infiniti linguaggi.
L'unica entità attualmente capace di ridurre questi due livelli di infinità è la coscienza anche perché solo essa può determinarli.


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La domanda fondamentale alla quale, in questa ipotesi, dobbiamo rispondere è quindi una: in che maniera il segnale diventa segno? (Che appunto significa qualcosa per qualcuno)
In che maniera questo evocare può, ed ha, luogo?

E' una domanda che, in questo studio, ci siamo già posti.
Alla risposta di essa, come accennato nel terzo paragrafo del secondo capitolo, abbiamo subordinato la soluzione del problema della coscienza.

Guardiamo un giardino.
Avere coscienza di questa rappresentazione significa avere coscienza di noi stessi nel momento in cui la nostra struttura biologica crea la rappresentazione del giardino.
Non soltanto non abbiamo un accesso conoscitivo al giardino come in esso è in sé (ente reale/noumeno), e non soltanto l'ambizione a un tale tipo di accesso è semplicemente senza senso, ma non abbiamo neanche una rappresentazione diretta (classica) del giardino stesso.(ente logico/fenomeno)
La rappresentazione in questione si trova in uno stato di astrazione successivo, essa è indiretta: noi abbiamo la rappresentazione di noi stessi mentre ci rappresentiamo il giardino.

Tale livello di rappresentazione è in tutto e per tutto equiparabile alla creazione di un insieme di segni.
Esiste un albero, l'erba è verde, esistono dei fiori, volano degli insetti.
La realtà oggettiva del giardino è trasdotta in segno, e non potrebbe essere altrimenti, dal soggetto biologico attraverso la creazione di segnali determinati dalla natura dei suoi organi di senso e dalla relazione di essi nell'unicum biologico costituito dal suo organismo.

Come questi segnali diventano segni?
Ovvero: in che maniera ciò che da ciò che è inizialmente semplice segnale biochimico si determina il segno dotato di significato?

Un segno sembrerebbe  tale perché una entità cosciente può attribuirgli/legargli almeno un significato.
Più precisamente: un segno è tale in virtù dei suoi significati potenziali e questi significati sono significati di/per qualcuno.
Ancora più precisamente: un segno è tale in virtù dei suoi significati, delle concettualizzazioni ai quali possono essere riferiti.

Segno e significato/concettualizzazione non sembrano possedere senso alcuno senza la presenza di una coscienza.
Essi sembrerebbero segno e significato proprio per una coscienza. (Non necessariamente questa coscienza deve possedere la facoltà di concepire se stessa come tale e non necessariamente deve essere umana)
Senza una coscienza non esisterebbe significato e il  segno sarebbe mero accadimento (semplice segnale), il segno sarebbe segno di nulla per nessuno (ovvero: non sarebbe segno) e il significato appunto non avrebbe nulla da significare, poiché significare, creare un segno di qualcosa, sembra avere senso solo e soltanto in virtù dell'esistenza di qualcuno capace di interpretarlo, di attribuire un significato al segno stesso,  concepirlo e comprenderlo avendone sentore.

Così, se ipotizziamo che la rappresentazione sia segnale che in qualche modo diventa segno (e immediatamente significato), dobbiamo ipotizzare che essa sia sempre segno/significato per una entità cosciente.

Il problema non viene quindi risolto.
Come infatti ciò avviene?
Come esiste una coscienza per la quale il segnale diviene segno?

Non solo: è lecito vedere la coscienza come una entità compiuta spettatrice e donatrice di senso passiva  di quelle rappresentazioni/segni?
Probabilmente no.(E' contro questo tipo di impostazione che Dennett, come abbiamo visto, muove una delle sue critiche fondamentali, la critica a ciò che ha definito cartesian theatre, teatro cartesiano)

Ogni segnale, presupposto del segno, esiste non soltanto perché esiste un'entità che lo recepisce: esiste, banalmente, perché esiste anche un entità che lo determina.
La coscienza del su citato giardino non può esistere senza il giardino e la coscienza del giardino sarebbe differente se il giardino fosse differente (o se non ci fosse), ovvero: l'individuo cosciente sarebbe differente, sarebbe un altro individuo.
Ognuno di noi è se stesso perché ha avuto ed ha una sua unica ed irripetibile storia, questa storia è determinata dall'ambiente fisico nel quale, come individuo biologico esso ha vissuto e vive.
Ognuno di noi esiste quindi nell'unico modo tramite il quale può esistere: una pur minima differenza dell'ambiente fisico nel quale ogni individuo si trova costituisce una differenza della sua esperienza e della sua coscienza.
Ogni  coscienza è il risultato dell'unica ed irripetibile linea spazio temporale che il soggetto biologico percorre. (Come accennato nel secondo paragrafo del primo capitolo e nel terzo paragrafo del secondo)

Sappiamo quindi, o almeno crediamo, che questo fenomeno, la nostra stessa coscienza, è il risultato di processi fisici e biologici.
Non sappiamo, almeno per ora, altro.

I confini dell'anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie, così profondo è il suo logos. (Eraclito, Diels-Krantz, frammento 45 in Reale-Antiseri 1997, pag 53)

Come non abbiamo idea di come dalla vita emerga una coscienza non abbiamo idea di come dalla materia emerga la vita ed, in ultima istanza, non abbiamo idea di come (e del perché) ciò che noi chiamiamo materia si sia presa la briga di esistere.

La citazione che conclude il nostro studio potrebbe essere quindi identica a quella con la quale abbiamo cominciato:

I saggi cui si domanda che cos'è l'anima, rispondono che non ne sanno niente. E se si domanda loro che cosa è la materia, rispondono allo stesso modo.(Voltaire, Dizionario filosofico, Materia)